Un’esperienza quotidiana che accomuna ciascuno di noi è il poter “toccare” qualcosa o qualcuno. In questo
ambito un posto privilegiato lo hanno gesti di affetto e vicinanza nei confronti degli altri come un abbraccio,
una carezza, anche solo una stretta di mano. Spesso ci capita di imparare quanto valga qualcosa quando
non l’abbiamo più tra le nostre mani, così è stato in questi mesi. Le relazioni più importanti ci sono, da un
momento all’altro, venute a mancare: amici, parenti stretti, a volte familiari.
Se prima era scontato potersi
vedere e salutare, ora non lo è più.
Se prima venirsi incontro era sinonimo di gioia e un abbraccio
l’espressione di questo sentimento reciproco, ultimamente può essere la paura ad essere caratteristica di
questo momento, paura che io possa fare del male a quella persona cara o viceversa, paura che questo
possa succedere al di fuori di ogni mia possibilità di controllo data l’invisibilità del pericolo.
Mi è capitato
per una circostanza fortuita di incontrare un amico di vecchia data quando ancora le condizioni non lo
permettevano, vedersi dopo tanto tempo è stato un regalo inaspettato, non potersi però avvicinare né
abbracciare mi ha lasciato una strana sensazione e quest’ultima mi ha portato a riflettere sull’accaduto.
Per
“incontrarsi” non restavano che gli occhi, lo sguardo.
Capita spesso che nelle situazioni della vita ordinaria
quello che facciamo o diciamo sia per attirare su di noi le attenzioni degli altri, in quell’episodio invece il
potersi “vedere” e l’esprimere il proprio affetto con lo sguardo ha invertito lo schema, gli occhi e il volto
sono diventati veicolo essenziale per “abbracciarsi” pur nella distanza.
Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!».
Mc 10, 17-21
Fissò lo sguardo su di lui, lo amò.
Nel vangelo di Marco queste sono le parole che descrivono Gesù nell’incontro con
il giovane ricco, parole che lasciano quasi commossi nel pensare quale amore potessero racchiudere gli
occhi di Colui che è Luce del mondo.
Ora che la distanza impedisce di potersi “toccare” con sicurezza,
affinchè un domani quel “tocco” sia più sincero e colmo d’amore rispetto a prima, invito ciascuno a tornare
a pensare a quei momenti in cui lo sguardo di Gesù, quello stesso sguardo narrato nel Vangelo, si è
incrociato, sentito, anche solo sfiorato.